16/10/2011 I Mondiali a Veldhoven - Diario 1 Inutile girarci intorno: l’argomento del giorno è la scelta di questo posto per giocare i Mondiali. Non sto parlando della città o della nazione dove si gioca, ma dell’edificio, o meglio, dell’insieme degli edifici che ci ospitano. Meglio ancora, non sto parlando delle sale dove si gioca ma… delle stanze dove si dorme. Diciamolo subito chiaramente: le stanze di questo complesso che non si può certo definire “alberghiero”, almeno nel significato comune che viene dato a questo termine, sono decisamente “spartane”. Lo sono, soprattutto, se paragonate a quelle dove i bridgisti sono abituati a stare quando si giocano eventi di questo tipo. Basta ricordare, per esempio, le ultime due grandi manifestazioni a livello mondiale: le Olimpiadi di Pechino ed i Mondiali di San Paolo. Si giocava e si “viveva” in alberghi di ottima categoria con tutti i confort possibili ed immaginabili. Qui si vive in stanze dove c’è lo stretto necessario. In queste stanze non c’è non dico un frigo bar degno di questo nome, ma neppure un “qualcosa” dove tenere in fresco le bevande. Bevande che, dovendosi tenere il riscaldamento “a palla” causa clima non certo primaverile, dopo un po’ cominciano a bollire. Qui accanto a me, mentre sto scrivendo, l’occhio mi cade su uno strano apparecchio che, se ben ricordo, dovrebbe essere un minitelevisore Anni 60. Chi ha portato due valigie, deve essere uno specialista di slalom speciale per potersi muovere all’interno della stanza e via di questo passo. E’ un dramma? Non direi proprio. Anche perché, a fronte di questi “inconvenienti”, c’è da considerare che si gioca nello stesso posto dove si abita e che si gioca in sale straconfortevoli con tutti i requisiti tecnici per far giocare i giocatori col massimo dei confort e per permettere agli spettatori di BBO& co. di seguire il campionato nel migliore dei modi (pare con un’importante novità della quale vi riferirò in seguito). A mio parere, in ogni caso, direi che prima di emettere un giudizio definitivo sulla sede di gara e relativa sistemazione alberghiera, bisognerebbe lasciar passare qualche giorno. Per esempio per valutare quanto ci manchi un televisore ultramoderno quando, in contropartita, si ha Internet perfettamente funzionante e “gratuito” in tutte le stanze. L’unico discorso inaccettabile, tra quelli che hanno parlato in difesa della scelta del posto, è stato quello di un tale che mi ha detto che il bridge è uno sport e che quindi gli “atleti” devono adattarsi a fare vita da atleti. Il discorso è assurdo primo perché paragonare degli “atleti” con un’età media di oltre sessantanni, ad atleti di qualsiasi altra disciplina, è assolutamente folle e poi perché, in realtà, io di atleti che vanno a giocare un Mondiale di qualsiasi sport vivendo in convento (fino a qualche tempo fa il posto dove siamo era un convento di monache di clausura), non ne ricordo molti. Se, al contrario, si parla di crisi economica generale e si sottolinea che in questo modo si è data a giocatori di federazioni “povere” la possibilità di vivere come quelli delle federazioni più ricche, il discorso è più che accettabile anzi, direi, senz’altro condivisibile. Comunque tempo al tempo. Per ora passiamo ad altri argomenti. Non prima, però, di avervi riferito la teoria dell’americano Bob Levin. Bob sostiene che gli olandesi, stanchi di venire sempre battuti dagli italiani e conoscendo le esigenze dei nostri (ha parlato soprattutto di Lauria, Bocchi e Duboin), abbiano imposto questa sistemazione sicuri che i nostri alfieri, assolutamente poco “spartani”, abbandoneranno al massimo dopo la prima settimana di gare. Chi di speranze vive…Comunque la teoria di Levin, forse non del tutto verosimile, è sicuramente intrigante. A proposito degli italiani, i nostri sono dati favoriti non solo dagli addetti ai lavori ma anche dai bookmakers che, al momento, quotano l’Italia a 2 contro uno, USA 1 a 3 e mezzo, l’Olanda e la Svezia a 7, e Usa 2 a 10. Io ed un nostro giocatore abbiamo già provveduto a puntare qualcosa sull’Italia vincente. E’ infatti opinione molto diffusa che la nostra quota potrebbe abbassarsi molto presto. A questo punto dovrei parlare, come si usa fare in questi Diari del giorno, della cerimonia d’apertura. Mi limiterò a dire che è stata veloce e piacevole e, almeno per quanto ne so io, niente affatto “etnica”. Ovvero non c’è stato niente di particolarmente “olandese”. A meno che l’Olanda non sia famosa per i suoi maghi, le sue maghe ed i suoi prestigiatori. Se così fosse, mi scuso con i lettori per la mia ignoranza ma, più ci penso, meno mi viene in mente qualcosa che colleghi questo ridente Paese alla magia. Ai tulipani, si. Alla magia, proprio no.
Alberto Benetti
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